quella volta pioveva da settembre, non come ora che due giorni di piogge feroci hanno fatto lo stesso disastro. ci ha fregati il fatto che l'anno prima sembrava dovessero rompersi tutti gli argini e fare un disastro, invece ci fu solo qualche pozzanghera. così quell'anno ci preparammo convinti che fosse un altro falso allarme. e invece fu tremendo.
mio papà lavorava al comune, non ricordo se fosse solo in giunta o anche vicesindaco. nei giorni precedenti faceva la spola tra lì, casa e la scuola. non l'avevo mai visto così preoccupato. avevamo sollevato i mobili del pianterreno, portato le automobili alla stazione dei treni, che era il punto più alto (non noi, che non avevamo l'auto, ma tutti gli altri). ci si preparava ma senza convinzione. non ricordo se facemmo in tempo ad avere la notizia di quello che era successo a Firenze e a Venezia, ma credo di sì, perché ricordo le immagini del disastro...
la notte fra il 4 e il 5 novembre miol padre rimase fuori, a sorvegliare gli argini della Livenza con quelli del Genio Civile (grazie a dio non avevamo ancora bortoladro bortolaso). tornò che albeggiava, dicendoci che il fiume aveva rotto gli argini e l'acqua stava arrivando. poi andò a scuola, a vedere cosa poteva fare.
e l'acqua arrivò. ed era pauroso vederla rotolare sulle strade e salire, salire... sembrava non doversi fermare mai. mi tornavano in mente le parole che tante volte avevo sentito dai miei nonni: il fuoco lo puo i spegnere, il terremoto dura poco e poi passa, ma l'acqua non la fermi, non la contieni, non puoi lottare.
ben presto ci rendemmo conto che aver sollevato i mobili non sarebbe servito a nulla, e li appoggiammo di traverso sulle scale. ci trasferimmo al primo piano, aspettando che la piena si fermasse. si fermerà, pensavamo, è già alta un metro, un metro e mezzo, due... si fermerà, quanta acqua c'è in quel fiume? ha rotto il Meduna, non la Livenza...
al tramonto smise, o comunque rallentò: eravamo in un lago, l'acqua da noi era arrivata a circa tre metri di altezza, e non eravamo nemmeno in uno dei punti più bassi. i mobili messi sulle scale avevano cominciato a galleggiare e poi si erano rovesciati, affondando con tutto quello che avevano dentro, come il titanic. gli elicotteri continuavano a girare, sopra di noi e il loro rumore mi faceva paura, non lo sopporto più, da allora. per le strade, divenute ormai vie d'acqua, giravano barche e gommoni dei pompieri e del genio, ci portavano notizie e soccorsi. mio padre era disperato per la scuola: tutte le apparecchiature dei laboratori erano perse...
non ho molti ricordi di quella notte, se non che mia mamma disse di aver dormito con la mano appoggiata al pavimento. il giorno dopo venne mio zio a prendermi, per portarmi da lui a Brescia. uscii dal terrazzino, salii con lui in gommone e andammo via fino al muretto dell'argine, sopra il quale camminammo in equilibrio precario per un bel po'.
di quello che accadde dopo ho solo i racconti dei miei.
la nafta era uscita da tutti i serbatoi e galleggiava ovunque. l'acqua ci mise due settimane per scendere del tutto, così la nafta ebbe il tempo di spargersi ben bene su tutti i muri. l'acqua era andata ma aveva lasciato il fango, e le carcasse degli animali, le mucche che galleggiavano gonfie, i cani, le galline...
ripulire fu un'impresa titanica. per anni continuammo a sentire puzza di nafta, a veder uscire umidità dai muri.
i danni furono immensi, per tutti gli abitanti. il duomo del Sansovino, la chiesa della Madonna, avevano tesori all'interno che andarono perduti. la scuola professionale, che mio padre amava come un altro figlio, ci mise anni per rimettersi in sesto, con l'aiuto degli alunni e degli ex alunni.
posso solo immaginare la disperazione della gente. la rivedo ora negli occhi di altri veneti messi in ginocchio da un'altra alluvione. sono passati tanti anni ma siamo ancora senza ritegno: non siamo ancora riusciti a capire che la terra si vendica di chi la violenta.
non ho molti ricordi di quella notte, se non che mia mamma disse di aver dormito con la mano appoggiata al pavimento. il giorno dopo venne mio zio a prendermi, per portarmi da lui a Brescia. uscii dal terrazzino, salii con lui in gommone e andammo via fino al muretto dell'argine, sopra il quale camminammo in equilibrio precario per un bel po'.
di quello che accadde dopo ho solo i racconti dei miei.
la nafta era uscita da tutti i serbatoi e galleggiava ovunque. l'acqua ci mise due settimane per scendere del tutto, così la nafta ebbe il tempo di spargersi ben bene su tutti i muri. l'acqua era andata ma aveva lasciato il fango, e le carcasse degli animali, le mucche che galleggiavano gonfie, i cani, le galline...
ripulire fu un'impresa titanica. per anni continuammo a sentire puzza di nafta, a veder uscire umidità dai muri.
i danni furono immensi, per tutti gli abitanti. il duomo del Sansovino, la chiesa della Madonna, avevano tesori all'interno che andarono perduti. la scuola professionale, che mio padre amava come un altro figlio, ci mise anni per rimettersi in sesto, con l'aiuto degli alunni e degli ex alunni.
posso solo immaginare la disperazione della gente. la rivedo ora negli occhi di altri veneti messi in ginocchio da un'altra alluvione. sono passati tanti anni ma siamo ancora senza ritegno: non siamo ancora riusciti a capire che la terra si vendica di chi la violenta.
... e continua a piovere...
RispondiEliminaLa terra si vendica, ma che pena per le persone...
RispondiElimina