domenica 28 settembre 2008

sapere, saperi

quando ero piccola avevo problemi con le tonsille. le frequenti infezioni mi avevano portato a soffrire di reumatismi, tachicardia e soprattutto febbriciattole costanti: qualche linea che cominciava ad affliggermi in novembre e se ne andava in primavera. finiva che stavo a casa da scuola per quasi tutto l'inverno, tanto che la mia (unica, allora) maestra dovette truccare il registro delle assenze per non farmi perdere l'anno. ho un vivo ricordo di queste permanenze forzate a casa... per un po' passavo il tempo a giocare con le bambole, venivano le mie amiche a trovarmi, mi godevo le coccole da malatina. poi mi stufavo. e cominciavo a spulciare fra i libri di mio padre e leggevo.

casa mia è sempre stata un mondo a parte, riguardo ai libri. ne avevamo a centinaia, erano ovunque, persino in cucina. in salotto e nello studio c'erano due librerie enormi, che papà si era fatto fare su misura da un falegname. quando arrivavano i rappresentanti delle case editrici (che allora spesso vendevano porta a porta) mia mamma si metteva le mani nei capelli ma papà aveva le bave alla bocca. non spendeva per nulla salvo che per i libri, i francobolli, le sigarette e la Settimana Enigmistica. credo che l'aggettivo "libridinoso" sia stato inventato per lui. ha trasmesso questo amore, questa passione, anche a noi tre suoi figli e io sto facendo di tutto per trasmetterlo ai miei. con ottimi risultati, per ora.

per cui leggevo... anche le enciclopedie, anzi, soprattutto quelle. l'amore per la lettura, per la ricerca, per la conoscenza, credo mi sia nato così, e non mi ha più abbandonata. internet ora è il paese dei balocchi, per me... sono sicura che lo sarebbe stato anche per mio padre, anche se credo che sarebbe rimasto sempre affezionato, come me, alla carta stampata...

insomma ho letto, ho curiosato, mi sono riempita di "saperi" così tanto che ora i mie figli mi chiedono qualunque cosa, su qualunque argomento, sicuri del fatto che darò loro la risposta giusta. e la cosa curiosa è che di solito è così...

Paolo mi chiama "le so... tutte!". Nichi mi usa come dizionario vivente. Giulia invece tempo fa (dopo l'ennesima domanda strana alla quale avevo risposto correttamente) mi ha guardata scuotendo la testa e dicendo perplessa: "come farò con i miei figli? quando mi chiederanno qualcosa non saprò dare tutte le risposte che tu ci hai sempre dato..."

la cosa mi ha riempita di orgoglio, ovviamente, ma mi ha anche fatto riflettere su quello che i nostri figli (e i nostri studenti) "sanno".

va bene: ho letto tanti libri, ma non ho imparato tutto lì... ero una bimbetta di otto, forse dieci anni, non ero un genio. non sarà la scuola ad essere cambiata?
(continua...)

giovedì 4 settembre 2008

che ne sarà di noi...

un altro post con parole non mie. ma sono parole che voglio ricordare e poter rileggere un giorno o l'altro...
“A scuola tornano i voti”, di Michele Serra.

Forse tradita dall´entusiasmo, il ministro dell´Istruzione (ex pubblica) Mariastella Gelmini guida la folta lista dei ministri super- dichiaranti, annunciando ogni giorno una novità salvifica. Ieri è stato il turno del ritorno al voto, che segue il ritorno del grembiule, il ritorno alla maestra unica, il ritorno della buona condotta e un´altra messe di ritorni, tutti implicitamente o esplicitamente motivati dalla ripulsa del famoso “spirito sessantottino” che con il suo venefico lassismo avrebbe devastato la scuola italiana nel seguente quarantennio. Volendo, si potrebbe obiettare che tutti questi ritorni hanno qualcosa di refluo e di platealmente nostalgico, dunque poco attinente al concetto di “nuovo” e “innovativo” che riluce sulle insegne della destra trionfante. Più che alla scuola gentiliana alludono a quella deamicisiana, con i buoni e i cattivi bene incolonnati sulla lavagna (sempre che arrivino i soldi per comperare il gessetto).Un po´ come se il ministro del Lavoro volesse abolire il weekend lungo, culla della fannullaggine privata e pubblica, quello dello Spettacolo rilanciare la censura, quello degli Interni le cariche a cavallo, e via via rimpiangendo quell´Italietta finto-proba, moralista e classista che il povero Sessantotto provò in effetti a seppellire, salvo poi inciampare, nel 2008, nelle sue ossa bene aguzze. Ma fare il ministro della scuola, in questo paese e con questa scuola depressa e impoverita, è un mestiere così difficile che non regge il cuore a infierire più di tanto. La buona volontà del ministro merita la sufficienza (un “sei politico”, parlando da sessantottini incanutiti), grembiule e voti e maestra unica possono perfino trovare qualche pedagogista consenziente, e pazienza se non una delle novità annunciate è esente da un forte odore di naftalina. Per contro, non c ´è genitore o docente con il sale in zucca che non avverta la necessità di irrigidire qualche regola, e rattoppare qualche falla provocata dal deficit di autorevolezza degli adulti. Quello che però vorremmo infine sapere, da un ministro che annuncia di voler rivoltare la scuola e redimerla dei suoi peccati, è se non crede che, nel pacchetto di provvedimenti che va snocciolando un giorno sì e l´altro pure, manchino almeno due intenzioni ben più strutturali della riforma delle pagelle. La prima intenzione è restituire ai docenti dignità sociale e dunque un censo adeguato, senza il quale è puramente insensato pretendere che le persone di qualità (del Nord e del Sud) puntino alla carriera scolastica. La passione e la vocazione, da sole, non bastavano nemmeno a tenere insieme la scuoletta del Regno, dove pure il maestro e il professore godevano della venerazione di un popolo ancora semianalfabeta: figuriamoci oggi, che l´intero apparato pubblicitario-televisivo (se il ministro non ne ha mai sentito parlare, chieda al suo premier) ha inculcato in grandi e piccini l ´idea che i quattrini sono tutto, e tutto il resto è appena una variabile di scarso interesse. Gli analfabeti si prostravano ai maestri, gli attuali analfabeti di ritorno li disprezzano. La seconda intenzione sarebbe ridare alla scuola pubblica la sua vecchia, indiscussa centralità ideologica (sì, ideologica) che è tutt ´uno con la sua identità, sostanzialmente immutata dal Regno al fascismo alla Repubblica: quella di cardine formativo di un popolo, di uno Stato, di una comunità di cittadini. L´idea balorda e pericolosa – sovversiva, direi, perfino più del Sessantotto… – che la scuola pubblica sia solamente una delle scuole, una delle possibilità formative, non solo ha stornato risorse altrove, ma ha parzialmente svuotato di orgoglio e di certezze l´intero ambiente: esattamente come se le Forze Armate sapessero di essere parificate a eserciti privati, a pari titolo destinatari di denaro pubblico nel nome della “libertà di scelta”. In parallelo, avanzava nel Paese l´idea che “pubblico” fosse comunque sinonimo di inerzia, parassitismo e qualità inferiore: per la prima volta nella storia d´Italia. In una comunità di consumatori e non più di cittadini, di “profili professionali” da valutare e impostare fino dalla prima infanzia e non più di giovani da formare alla cultura e alla dignità personale, come potrebbe mai rimotivarsi una scuola pubblica svilita dai suoi stessi governanti, stretta tra la cultura aziendalista e quella consumista, travolta dalla rivoluzione tecnologica senza poterla affrontare ad armi pari (che fine ha fatto la promessa proto-Berlusconiana di “un computer per ogni studente”?), insicura del suo presente economico e, quel che è peggio, del suo futuro istituzionale? Creda, ministro Gelmini, nessuno può permettersi, con i tempi che corrono, di contrapporre pregiudizi “libertari” ai suoi pregiudizi vagamente autoritari. Ma sconcerta non sentire più, da molto tempo, un orgoglio scolastico che si fondi sull´orgoglio pubblico, sulla volontà politica (tradita anche dai governi di centrosinistra) di fare della scuola di Stato, costi quel che costi, la prima anzi la primissima delle priorità politiche e finanziarie. Gli insegnanti si sentono soprattutto sgridati, accusati di essere impreparati, sciatti, assenteisti e magari meridionali. E il loro essere malpagati, secondo lo spirito dei tempi appare più come una colpa che come un torto subito. Avrebbero bisogno dell´esatto contrario: di un ministro che batta i pugni sul tavolo e pretenda risorse, quattrini e rispetto in pari misura. Un ministro che sia il primo dei docenti e non la loro controparte. Come può pretendere rispetto e stima dagli studenti una scuola che non ha più il rispetto e la stima dei politici che la reggono?

La Repubblica, 29 agosto 2008

martedì 2 settembre 2008

cambio materia

e se rubassi un'oretta alla matematica per parlare della costituzione? potrei raccontarla così:
“Cari ragazzi, da oggi, grazie alla nostra eccezionale ministra dell’Istruzione (un bell’applauso all’on. prof. Mariastella Gelmini e all'amato presidente Berlusconi!) cominceremo a studiare la Costituzione della nostra Repubblica nata dalla Resistenza, approvata 60 anni fa dai nostri Padri Costituenti. Ve la racconto in poche parole, poi la esamineremo articolo per articolo. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e garantisce il dovere della solidarietà. La sovranità appartiene al popolo, dunque nessuno può eleggersi da solo. Tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, religione, idee politiche, condizioni personali o sociali: sia bianchi, sia neri, più o meno ricchi o potenti che siano. Se uno viola la legge, ne risponde alla Giustizia, foss'anche il capo del Governo. La Repubblica è una e indivisibile, dunque niente Padanie o separatismi o secessioni. Promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca, perché l’arte e la scienza sono libere. Lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e sovrani. Dunque il Vaticano non può dare ordini al Governo o al Parlamento. La scuola privata è autorizzata, ma senza oneri per lo Stato. Lo straniero che viene da paesi dittatoriali ha diritto di asilo. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa ad altri popoli e di risoluzione delle controversie internazionali: per dire, non possiamo attaccare altri stati sovrani, tipo Serbia, Irak o Afghanistan. La bandiera è il tricolore e tutti devono rispettarla, a cominciare dai ministri. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, nemmeno quando pubblica verbali o intercettazioni. Il lavoratore ha diritto a un salario proporzionato al lavoro che fa e sufficiente ad assicurare a sé e famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Ergo, niente precariato. Tutti i cittadini devono pagare le tasse per concorrere alle spese pubbliche in proporzione ai loro redditi. Chi ricopre funzioni pubbliche ha il dovere di adempierle con disciplina e onore (il che esclude imputati, condannati e anche prescritti: alla prescrizione si rinuncia per farsi assolvere nel merito, altrimenti dimissioni). Ogni parlamentare rappresenta l'intera Nazione senza vincolo di mandato. Il Presidente della Repubblica rappresenta l'unità nazionale e giura al Parlamento fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione: quindi non può firmare leggi incostituzionali. E' lui che nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri. Dunque se un ministro fa pena o è imputato o non è degno della carica, la responsabilità è anzitutto del Quirinale. Il Presidente del Consiglio e i ministri sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla Giustizia ordinaria: cioè devono essere processati come gli altri cittadini. La Pubblica amministrazione deve ispirarsi al principio di imparzialità, perciò vi si può accedere solo per concorso pubblico. Vietate le lottizzazioni, i favoritismi e soprattutto i conflitti d’interessi, perchè i pubblici dipendenti sono al servizio esclusivo della Nazione. I giudici sono soggetti soltanto alla legge: non al Governo o al Parlamento. Sono inamovibili. E si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni: una sola carriera, inseparabile. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale (che dunque è obbligatoria, non discrezionale). E gode delle garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario, che è unico per tutti i magistrati. La magistratura è un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Si autogoverna attraverso il Csm: oltre al capo dello Stato che lo presiede e al primo presidente e al procuratore generale della Cassazione, gli altri membri sono eletti per due terzi dai magistrati e per un terzo dal Parlamento. I processi devono avere una ragionevole durata. Le leggi incostituzionali vengono cancellate ipso facto dalla Corte costituzionale, che è lì apposta. La Costituzione non può essere modificata con leggi ordinarie, ma solo con leggi costituzionali, approvate due volte da ciascuna Camera e, se non ottengono i due terzi dei voti, sono sottoposte al referendum popolare confermativo. Dimenticavo: è vietato riorganizzare in qualsiasi forma il disciolto partito fascista… Tutto chiaro, ragazzi? Domande?”. Voce dal fondo dell’aula: “Scusi, prof, ma di quale paese sta parlando? Perché per un attimo ho avuto l’impressione che si riferisse all’Italia. Nel qual caso, mi scusi, ma non è che niente niente ci stava prendendo un tantino per il culo?”

Marco Travaglio
Ora d'aria, l'Unità, 30 agosto 2008